“Mi sarebbe piaciuto essere una geniale ma ahimè non lo sono”. Mi colpisce tanto questa frase di Fabia durante la nostra intervista, non solo perché ai miei occhi una persona che lavora con atomi e particelle è GENIALE, ma perché mi fa riflettere sull’attitudine che abbiamo tutti a non sentire l’eccellenza che siamo. Per molti è una frustrazione, per alcuni invece una risorsa che li conduce in territori in cui gli altri, troppo spavaldi o insicuri, non si addentrano. Ma ci vuole consapevolezza e umiltà per inventare, e Fabia le ha entrambe. “Mi piace andare nei dettagli, è quasi terapeutica per me la cura delle piccole cose. Con l’esperienza ho scoperto che curando ogni aspetto del mio lavoro, vedo meglio le sfaccettature e posso scoprire cose nascoste e prospettive nuove”.
Fabia Gozzo è una scienziata preziosa, di quelle che ce ne sono poche al mondo. Lavora da quasi trent’anni nell’ambito della luce di sincrotrone, con una lunga esperienza cominciata all’Ecole Polytechnique Federale de Lausanne e proseguita ai Lawrence Berkeley National Laboratories e la Silicon Valley dove per Intel ha curato la creazione di un spettromicroscopio di fotoemissione. “Una volta sono stata invitata a spiegare il mio lavoro con questo super microscopio a dei ragazzini di una scuola elementare. Non sapevo come far capire la differenza con quelli che avevano in classe. Così quella mattina mi trovai a spiegare che se con il loro microscopio si potevano “solo” osservare gli oggetti, con il nostro li potevamo interrogare e capire dentro. Proprio come succede con le persone, se non ci fermiamo all’aspetto esteriore e ci parliamo, riusciamo a capire il loro carattere. Per un attimo rimasero perplessi, poi sembrarono capire e questo parallelo sembrò anzi affascinarli.”
La prima volta che ho visto Fabia, sono rimasta affascinata anche io dalla felicità che sprizzavano i sui occhi nel parlare del lavoro e del suo laboratorio. Eravamo nel giardino dell’istituto italiano di cultura a Bruxelles tra vino e tanta gente e lì nel bel mezzo dell’aperitivo ha iniziato a spiegarmi il concetto di luce di sincrotrone e polimorfi. “Il sincrotrone è una straordinaria sorgente di luce che possiamo utilizzare come una sonda per studiare dettagli piccolissimi di un materiale, per esempio un medicinale. Dall’interazione di questa luce con questo materiale, noi possiamo capire tante cose su di esso, per esempio la sua composizione chimica oppure la disposizione nello spazio dei suoi atomi gli uni rispetto agli altri.” Nonostante i miei pessimi voti in matematica al liceo, avevo capito. E in quell’occasione mi ero anche resa conto che eravamo più simili di quanto credessi; io uso le parole per entrare dentro l’anima delle questioni, Fabia usa la luce.
Agli inizi degli anni ’90, lei appena laureata all’università di Bari conosce Giorgio Margaritondo, padre della luce di sincrotrone e della spettroscopia di fotoemissione. “La prima volta che ho parlato con lui mi disse di dargli del tu, perché il “lei” si usava solo in Italia e poi mi chiese un curriculum. Io lo scrissi a mano, sbagliando pure la mia data di nascita per l’emozione e glielo consegnai mezz’ora dopo. Il mattino seguente ci incontrammo e mi propose di essere la sua prima dottoranda”. Non prima di averla mandata nel freddo Wisconsin ad esplorare il suo primo sincrotrone.
“Ho lasciato tutto e sono andata. Non me ne sono mai pentita. Giorgio mi ha insegnato il rigore scientifico, ma mi ha insegnato ad osare. È stato un uomo durissimo, ancora me li ricordo i suoi “experiments come first, you are the judge” quando dopo due mesi di esperimenti giorno e notte, sognavo di rientrare ed invece dovevo decidere “da me” di rimanere ancora diverse settimane. Ma la mia determinazione si è forgiata in quegli anni.”
Appena arrivata in Winsconsin gli altri ricercatori l’avevano informata che nessuna studentessa aveva finito il dottorato con lui. Lei sarebbe stata la prima.
Fabia è semplicissima, con la sua camicia a fiori, animata da una sincera passione e responsabilità per quello che fa. Parliamo su skype, tra Roma e Bruxelles, mentre sulla porta si affaccia la figlia che saluta prima di andare a lezione di danza.
“Da ragazzina non avevo l’ossessione della fisica, anzi ricordo che da bambina ho pure pensato di diventare una suora missionaria. È stato all’università che ho fatto la scelta, la fisica pareva avvicinarmi al perché delle cose. Allo stesso tempo ero ambiziosa e cercavo obiettivi veramente sfidanti. È stata certo l’influenza di mia madre, che aveva il rimpianto di aver abbandonato gli studi, a stimolarmi. Ci ripeteva costantemente, studiate e potrete diventare quello che vorrete. Io sono certa di essermi presa un po’ della sua sofferenza sulle spalle, ma pure un po’ di quella forza; la vita che faccio è esattamente quella che voglio, ma allo stesso tempo non sarei chi sono se non avessi fatto questa vita.”
Intorno alla passione per la fisica gira tutta la sua vita, dall’incontro con marito Thibaud alla nascita dei figli. “La fisica è la mia porta di accesso al mondo. Ricordo che una delle prime sera in cui avevamo iniziato a convivere, lui mi trovò che avevo tappezzato il forno con termocoppie, non riuscivo a cuocere bene gli amaretti, ed ero certa ci fosse un problema con la temperatura del forno. Ovviamente il problema non era il forno. Ci facemmo una gran risata e scommise che con me non si sarebbe mai annoiato. Oppure quando è nata mia figlia Justine tutti la chiamavano “the synchrotron baby” perché ero stata fino a poche ore prima in laboratorio, tanto che il capo propose di costruire una culla da tenere nel sincrotrone”.
Fabia all’evento di Bruxelles mi aveva accennato della creazione della sua azienda e di come per esempio non richiedeva ai suoi collaboratori orari fissi o di stare in sede. “So che vuol dire essere una mamma scienziata, e so che garantendo la tranquillità di una collega posso ricevere tantissima dedizione e lavoro. Per questo in Excelsus le persone valutano da sole. Non sempre va bene, e io ci rimango molto male, ma sono certa che quella sia la strada.” Ancora una volta la conferma che la gestione del lavoro dipende dalla volontà delle persone e dalla relazione che c’è tra esse.
Le ho proposto un’intervista perché è importante raccontare che il punto di vista appassionato è applicato in tutti i settori e in ognuno dà i suoi ottimi risultati.
“Inizialmente usavo spesso l’espressione IO perché ero sola, e io ero l’unica che faceva tutto, perché l’idea era mia, io avevo visto ciò che poteva essere. Io ero il ponte tra quello che si faceva in laboratorio e come si poteva portarlo fuori. Ora adoro poter dire NOI ed é bellissimo vedere lo stesso entusiasmo negli occhi dei miei collaboratori.”
Excelsus Structural Solutions è una eccellenza mondiale nata nel 2012 da un’intuizione di Fabia e fondata con il pieno supporto del Paul Scherrer Institute. “Mi ero accorta di quanto insufficiente fosse l’uso di luce al sincrotrone in contesti industriali, nello specifico quello farmaceutico. Non sono stata certo io la prima ma diciamo che io ho cambiato il modo di usarla”. L’ascolto e ancora una volta trovo conferma che è dalla determinazione di una persona che parte il cambiamento. L’innovazione dipenda dalla consapevolezza che si ha di sé e della capacità di osservare il contesto, e Fabia questo lo ha chiaro.
“Un farmaco puo’ esistere in diverse forme a seconda di come i suoi atomi sono organizzati gli uni rispetto agli altri. Li chiamiamo polimorfi. Pur rimanendo il farmaco lo stesso, alcuni di questi polimorfi possono risultare totalmente inefficaci allo scopo per il quale il farmaco e’ stato sviluppato, altri addirittura possono rivelarsi tossici. Scegliere, controllare e riconoscere il polimorfo giusto e’ fondamentale. Le nostre analisi con la luce di sincrotrone sono le sole in grado di definire i dettagli del polimorfismo e rivelare la presenza di tracce piccolissime di polimorfi indesiderati. Excelsus ha dimostrato livelli di rivelazione di tracce di polimorfi senza precedenti.”
Prima di allora la luce al sincrotrone veniva usata molto raramente sui farmaci perché troppo aggressiva, fin quando Fabia ha capito come analizzarli senza distruggerli, riuscendo così con i suoi colleghi al sincrotrone svizzero dove nessuno credeva si potesse andare. Con il suo punto di vista ha letteralmente aperto una nuova fetta di mercato, e in questo caso fatto fare un passo avanti alla scienza.
“Tutti nel nostro settore sanno di partecipare alla costruzione di un puzzle, ognuno vorrebbero riuscire a mettere un pezzo d’angolo di questo puzzle, quello che definisce un punto inamovibile, io non so se riuscirò in questo me anche dovessi riuscire solo a mettere un pezzo di cielo, so che ne sarà valsa la pena.”
La passione per Fabia è consapevolezza e umiltà.
2 commenti
Bellissima intervista, che fa amare perfino la física! Grazie alla passione delle donne e a chi sa raccontarla così bene.
Carissima Iliana,
grazie! le Appassionate sono ovunque intorno a noi, anche nei tuoi uffici. Quando vuoi le scoviamo insieme. baci
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