“Non sei unica, sei solo difettosa” … BOOOOM!
Ho sentito questa frase alcuni giorni fa in un episodio di una serie. L’ho ascoltata in maniera distratta ma non ho potuto fare a meno di appuntarmela sul primo pezzo di carta che ho trovato, dentro di me aveva fatto un boato. Oggi ho riaperto l’agenda ed eccola là spuntare forte e chiara.
Nella fiction (Si tratta di Philip K Dick Electric Dreams, nel caso volessi curiosare.) il messaggio era chiaro, lo sviluppo forsennato ci vuole tutti uguali, amorfi e decerebrati e già questo sarebbe sufficiente per riflettere, ma il boato che aveva risuonato in me voleva portarmi più in profondità e io, che ai tempi del coronavirus ho più tempo, l’ho seguito.
In un’epoca in cui le donne lavorano, si impegnano per diffondere i loro valori, studiano per sostenere la loro identità e farla fiorire, la frase sibillina poteva sembrare addirittura un’offesa, eppure a me aveva fatto l’effetto di liberazione. Che era successo?
Sentirsi unica per quel che mi riguarda, è una gran fatica e alla sola idea di non farlo (più) mi si aprono i polmoni e mi ritrovo a respirare profondamente. L’ho fatto per un sacco di anni di credermi unica e di comportarmi affinché gli altri lo pensassero e oggi mi pare solo di aver sprecato un sacco di tempo. Un tempo che avrei potuto investire per guardare la vita a modo mio, divertirmi, fare l’amore, creare cose, viaggiare a piedi, vedere belle immagini.
Ho seguito la eco di quella frase e mi sono ritrovata nel posto dentro di me dove so che l’abuso universalmente perpetrato verso le donne è stato da sempre quello di rubargli il tempo di vivere a modo loro. Il tempo delle donne è stato rubato convincendole che fosse fondamentale investirlo per fare cose che solo loro dovevano fare, un tempo erano i lavori di casa e l’educazione dei figli, oggi invece sfondare soffitti di cristallo.
C’era un tempo in cui le donne usavano il ciclo come scusa per avere del tempo per sé, tempo per isolarsi da tutto il fare di cui erano state caricate e riconnettersi con il silenzio, con la natura, con l’anima. Ti è mai capitato che tua nonna o tua madre ti dicessero che con il ciclo non potevi toccare le piante perché si sarebbero seccate? Ecco, è ciò che rimaneva di quei tempi antichi in cui le donne per trovare il modo di stare isolate, raccontavano che per alcuni giorni al mese non erano buone a niente.
Il tempo delle donne è necessario per fiorire.
Ci vuole tempo vuoto per lasciare affiorare le preziose intuizioni che teniamo aggrovigliate nei geni e nell’anima. Ci vuole tempo per vederle, rivederle e vederle ancora, e finalmente portarle fuori e proporle al mondo. Ma prima ancora ci vuole tempo per calarle nella nostra vita di tutti i giorni, affinché s’infiltrino nel nostro sentire, nel nostro parlare, nel nostro vedere. Il tempo rubato delle donne nega al mondo la ricchezza nascosta nelle loro anime. Nega a noi tutte la possibilità di sperimentare il piacere di essere a modo nostro e la soddisfazione conseguente.
Da qualche parte ho letto che il femminismo è nato grazie all’invenzione della lavatrice. (O forse me lo sono inventato io?)
Le donne liberate dall’usurante lavoro domestico (Immagina solo di dover lavare a mano le lenzuola che cambi ogni settimana. Fatto? adesso aggiungi tutto il resto.) hanno iniziato ad incontrarsi e parlare di loro, di come vedevano il mondo e di come cambiarlo (Certo lo so, è più complesso, ma è per sintetizzare). Noi le figlie di quelle donne, arricchite della loro esperienza, liberate dal vincolo della maternità &co. , in possesso di tutti gli elettrodomestici possibili siamo la prima generazione potenzialmente in grado di vivere il nostro tempo. Lavorare certo, perché ci piace e l’indipendenza economica ci dà molta potenza, ma lavorare il meno possibile perché il tempo ci serve per fare anche altro.
E invece no, nell’ultimo decennio il tempo liberato delle donne è stato di nuovo risucchiato, questa volta dal flusso brutale del liberismo in cui tutto deve produrre valore economico sempre maggiore.
Immerse in un clima di competizione, ansia dei risultati, e decisioni prese in funzione di like (ricevuti a pagamento) viviamo ancora una volta cercando di essere meglio di chi ci sta accanto, perdendo la vera occasione di essere felici, quella di vivere a modo nostro.
Ho seguito il boato dentro di me e mi sono ritrovata in un mondo in cui posso godere del giorno che sto vivendo non perché ho guadagnato tanto ma solo perché sono viva. Posso bere un bicchiere di vino, leggere libri mirabolanti, entrare in contatto con pensieri che per un attino fanno brillare i miei neuroni, senza con questo voler divenire un premio nobel. Un mondo dove sono una creatrice di bellezza, di ceramiche, di gioielli e non per questo voglio farne uno shop on line su Instagram. Mi rendo conto che il mondo in cui mi sono ritrovata non è frutto di immaginazione, né di speculazioni ma di conoscenza; come se il mio corpo sapesse che è sempre stato così, e che così deve andare.
In questi giorni un po’ strani vedo gente immergersi nel bello, sarà perché abbiamo più tempo, sarà perché non vogliamo piegarci alla paura. Vedo un’amica partire per vacanze improvvisate, un’altra passeggiare una giornata per Venezia facendo belle foto, un’altra ancora bloccata a casa a fare quelle ricetta che non ha mia potuto fare, un’altra che finalmente si sveglia senza sveglia visto che non deve correre da nessuna parte, e poi ancora una che va a piantare un albero.
Il tempo ritrovato delle donne è quello in cui si sta al mondo in un’altra maniera, senza lo sforzo di convincere nessuno di essere necessarie, senza dover dimostrare il valore economico di ciò che ha senso umano, senza rinviare ancora quello che siamo già. Sono l’esperienze che probabilmente abbiamo bisogno di fare da quando sia nate, belle per noi, per sentirne l’effetto sulla nostra pelle, per incamerarne la sensazione,per far evolvere l’anima e il nostro sentire. Un po’ come questo post che scrivo e correggo da due giorni e che non lascio andare.
“Cosa succederebbe se ti svegliassi un giorno e avessi 65 anni, e ti rendessi conto di un colpo che hai passato la vita a cercare di essere perfetta o a fare piacere agli altri, anziché esserti dedicata a vivere una succosa vita creativa?” Anne Lamott
Ecco ho seguito l’eco dentro di me e mi sono ritrovata in un mondo in cui non è mai stato necessario essere uniche, e perfette.
Ma poi cos’è l’unicità se non il sapere, istante per istante, chi si è e cosa si prova?
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