L’11 settembre 2001 Kathy Ball Toncic sopravvive al crollo delle torri gemelle correndo sui suoi piedi nudi, e si rende conto solo durante quella terribile corsa, che fino ad allora non aveva veramente vissuto. D’allora Kathy corre, corre, corre.
Io l’ho conosciuta dieci anni dopo, giugno 2011 e quello stesso anno a settembre ho raccontato la sua storia su una nota rivista, era il mio primo pezzo e lei era la prima Appassionata, ma ancora non lo sapevo. Ecco la mia intervista, esattamente la stessa di allora.
Chi eri Kathy, 10 anni fa?
Avevo 47 anni, lavoravo per la Financial Fusion, mi occupavo del business development per alcune società di Wall street. Vivevo a Boston e tutte le settimane andavo a New York. Avevo un ruolo di responsabilità, e il potere, i viaggi intorno al mondo, i pranzi e gli alberghi di lusso, erano la misura del mio successo. Correvo da una riunione all’altra, seguendo le regole di Wall Street, non mi facevo domande. Credevo di essere felice, invece recitavo, senza accorgermene, la parte di quella che sa quello che vuole.
E poi cosa è successo?
…poi fu l’11 settembre.
Cosa avevi previsto di fare quel giorno?
Era una giornata bellissima di sole, molto luminosa, senza caldo o afa. Avevo una giacca rossa e una gonna nera, scarpe con i tacchi, gioielli. Ero bella, mi sentivo forte e potente, doveva essere un giorno importante per me quello. (Sorride e non mi dice di più)
Puoi descrivermi l’esatto momento in cui tutto è cominciato?
Era presto, eravamo ancora nel salone al piano terra della North Tower, avevamo messo a punto la nostra strategia per le riunioni di quella giornata. La prima riunione era al 47esimo piano, poi sarei andata ad una conferenza al 106esimo piano, Window’s of the World. Eravamo pronti, stavamo chiudendo i computer, dovevamo salire, quando ci fu l’esplosione. Saltarono tutte le finestre, si spensero le luci, e qualsiasi cosa cominciò a volare per aria intorno a noi. Un’enorme palla di fuoco venne giù nella hall. Mi sono nascosta sotto il tavolo, poi mi sono dovuta affidare ai miei colleghi. Non ero più in grado di capire niente, era tutto incomprensibile, inimmaginabile.
Come sei riuscita a sopravvivere?
Eravamo al piano terra, abbiamo cominciato a correre. Seguivo i miei colleghi, senza sapere da cosa fuggivamo, né dove trovare riparo. Era un attacco aereo? Qualcuno bombardava New York? Fuori era tutto buio, nuvole nere ovunque. Non si vedeva niente, il pericolo poteva essere ovunque intorno a noi. Ero senza scarpe, e per terra cominciavano a cadere i pezzi dei vetri delle finestre. Ero immobilizzata dalla paura e dal dolore, impossibile correre. “Non c’è nessun posto in cui andare”, gridai. Pensavo che la mia vita fosse finita, poi qualcuno mi ha dato una maschera, un collega mi ha preso una mano e mi ha fatto correre con lui.
E la strada verso casa?
Abbiamo preso il traghetto verso New Jersey, era sovraccarico, erano entrati tutti quelli che avevano trovato un po’ di spazio, pure minimo. Andava lentissimo, sembrava non si muovesse. Nessuno diceva una parola, eravamo tutti scioccati, galleggiavamo davanti a quell’inferno. Ho guardato i miei piedi sanguinavano.
Cosa è successo i giorni successivi?
Avevo dentro la morte, un’idea inconcepibile per una persona viva. Ho dormito per giorni, profondamente, senza sognare, senza svegliarmi. Ma forse in quel lungo sonno ho cominciato a capire e un po’ a rinascere.
Puoi raccontarci qualche passo di questa tua rinascita?
Avevo una bella casa, una meravigliosa famiglia, un lavoro importante. Vivevo una vita da sogno, un sogno che non era mai stato il mio. E dopo quello che mi era successo, continuare a vivere il sogno di qualcun altro mi sembrava un’offesa alla vita. Ho capito che dovevo rinunciare alla mia tranquillità, se volevo trovare me stessa. Non volevo più essere la moglie di, la madre di, la donna di Wall Street. Ho iniziato lasciando il mio vecchio lavoro per uno mio. Poi mi sono separata da mio marito per vivere da sola. Infine sono volata a Roma, per vivere alla mia maniera. C’è voluto tanto tempo, 10 anni per cambiare tutto e arrivare in Italia.
Cosa hai fatto in quegli anni?
Tante cose, tra cui iniziare a correre. Nella mia prima maratona sono riuscita a percorrere 26.2 miglia e proprio mentre correvo ho capito quanto, per raggiungere quel traguardo, dovevo credere in me stessa. Ho capito che per continuare a correre dovevo essere totalmente dedita alla mia impresa, dovevo avere un piano da seguire, un metodo. Nei mesi successivi, mentre continuavo ad allenarmi riflettevo su come realizzare la mia nuova vita. Proprio come una maratona, non dovevo vederla “tutta insieme”, era troppo grande, troppo imponente. Dovevo pensarla in parti, in obbiettivi, e dedicarmi ogni giorno a conquistarne uno. Era necessario imparare a darmi sostegno, e non credere più di dover fare tutto da sola. Dovevo accettare che anche io mi stancavo, che avevo bisogno di riposo e di rigenerarmi. Ho imparato a prendermi cura di me. Adesso tutto questo è il mio lavoro.
Che lavoro fai oggi?
Oggi finalmente vivo il mio sogno. Il nome della mia società è 262group, la lunghezza della mia prima maratona. Lavoro come life coach, insegno leadership della vita, e le mie clienti sono principalmente donne. Molte donne che incontro sono boccioli pronti a sbocciare, che hanno paura di abbandonare quella protezione. So bene quanto il cambiamento faccia paura, ma è proprio il cambiamento che porta in superficie chi siamo veramente. Dobbiamo ricordarlo ogni giorno. Per questo io ho ancora i 25 dollari che ho guadagnato facendo il primo incontro. Essere pagata per fare quello che volevo, è stato l’inizio della mia fioritura.
Parlami delle donne e la leadership, secondo te.
Quando andavo a Wall Street vedevo alcune donne vestite come maschi, giacca, pantaloni, camicia bianca. Lo so, pensano che non si possa essere femminili e allo stesso tempo delle leader. Adesso ho imparato che quando provi ad essere qualcun altro da te, non potrai mai essere leader di niente, perché non lo sei di te stessa.
Ultima domanda: chi sei tu oggi Kathy?
Sono felice della mia vita, in pace dove sono e come sono. Ho imparato ad ascoltare e seguire il mio cuore, ed è un modo meraviglioso di essere vivi.
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