I ricordi d’infanzia più belli che ho di mia madre sono quei rari momenti (mia madre tende alla rigidità) in cui si è lasciata andare a risate sfrenate, contagiose e liberatorie. Quando lei rideva era felice, il mio corpo lo capiva, e io ero felice con lei. Succede ancora, e da adulta provo a fare il miglior uso di quei momenti in cui tutto intorno a noi si carica di bellezza e di respiro.

È proprio il respiro la parte più preziosa della risata. Da lì passa la vita, e con esso l’inebriante consapevolezza di essere in vita. Sottile la differenza tra i due pensieri, tanto che in molti danno per scontato il primo punto e cercano di dimenticare il secondo. Siamo in molti a trattenere il respiro senza nemmeno accorgercene. Lo tagliamo, lo blocchiamo, lo affievoliamo e con esso la vita che potrebbe passare, perché solo con il respiro ci passa dentro la vita.  

Ne ho parlato con Lucia Berdini, insegnante di yoga della risata e play coach.

“Crediamo comunemente che la risata sia legata alla battuta, alla comicità, mentre con i giusti esercizi si può generare una risata autoindotta. La risata è salutare, quando ridiamo il corpo produce una serie di ormoni, che io chiamo cocktail della felicità, venti minuti di risate e il corpo è drogato di felicità per la giornata intera.”

Il segreto mi spiega Lucia è che “Il corpo non diversifica, non giudica, tra una risata nata da una battuta o una autoindotta, produce in entrambi i casi lo stesso cocktail ormonale.” Proprio come quando facciamo sport o l’amore. Uno può sembrare più piacevole dell’altro ma in termini di ormoni è più o meno la stessa cosa.

Lucia è diventata mamma in giovane età, e sebbene contenta, dopo la gravidanza si era accorta che non rideva più. “Non era un baby blues ma di certo con la fatica della gravidanza e del parto erano emerse considerazioni importanti sulla mia vita, sulla mia relazione con mia madre e sulla mia futura relazione con il bambino. Insomma la vita mi era sembrata una cosa difficile. La risata è respiro, mentre la serietà coincide spesso con la durezza, con la rigidità, e purtroppo facciamo l’errore di credere che le cose difficili si debbano affrontare con la serietà. Io, dopo averci pensato un po’, ho scelto reimparare a ridere.”

Ma non bisogna però fare l’errore di considerare la risata non seria, infatti l’educazione alla risata e al gioco sono un lavoro serio e metodico.

“Osservate i bambini; quando giocano sono seri, concentrati, avventurosi. Solo che il gioco e la risata dei bambini è uno stato dell’esperienza assolutamente naturale, gli adulti lo hanno dimenticato. Ma è ancora là, notate quando i bambini iniziano a ridere, si alimentano del loro ridere. E poi si caricano si eccitano. Ecco quell’eccitazione è la vita, che nei bambini scorre e che gli adulti possono canalizzare nel lavoro, nelle relazioni, nel loro personale benessere.”

L’ascolto e sorrido, la sola idea di ridere mi fa bene e mi fa sorridere. Sento le guance che salgono, due fossette che si aprono vicino alle labbra, e gli occhi che brillano. Li sento, non li vedo. La risata trasforma il corpo come può fare una carezza, ma in quel caso non c’è bisogno di nessun altro che noi.

“Il gioco come le risate, troppo spesso fa paura, viviamo in un mondo immerso nella playfobia.”

Mi spiega ancora Lucia, che ha un volto bellissimo di donna studiosa.  “Viene tollerato solo durante l’infanzia, neanche troppo, visto quanto si educano i bambini ad entrare nei ritmi e nelle abitudini degli adulti, ma poi da adulti viene considerata una perdita di tempo. Eppure come la risata, il gioco libera tantissime potenzialità, nelle relazioni per esempio, nel lavoro come in coppia. Ma non deve essere considerato come un’alternativa alla serietà, perché allora scatterebbe la playfobia, piuttosto come il terreno di gioco della serietà. Si deve giocare seriamente, almeno una volta al giorno,tutti i giorni, e imparare a farlo sempre meglio.”

Il gioco apre all’immaginazione, alla visione di nuove prospettive che non hanno i limiti della realtà che conosciamo, ci si deve seriamente divertire lavorando, per esempio. Oppure ci si deve impegnare a ridere su tutti gli eventi. Ridere apre il respiro, giocare apre l’immaginazione. Un evento che sia bello o brutto affrontato ridendo ci mette nella posizione di vederlo dal punto di vista della vita, e dunque delle infinite possibilità che essa propone. Se lo stesso evento lo vediamo senza respiro, allora lo vedremo in una modalità molto molto più limitata, con molte meno risorse e possibilità. Il gioco contiene una miniera di risorse. Cantare è un gioco, leggere, inventare o scrivere storie è un gioco, con lo stesso approccio possiamo inventare la nostra vita. E poi con serietà continuare ad inventare perché questa diventi realtà.

“La mia missione professionale e umana è diffondere la cultura del gioco. Ne abbiamo bisogno più che mai per reinventare le famiglie, le organizzazioni, per ristabilire il giusto livello di fiducia nella vita.”

Mentre scrivo quest’articolo mi viene in mente l’intervista ad un’altra delle appassionate Anna, che dietro la porta di casa ha il disegno di un robot fatto da ragazzina. Oggi lo ha realizzato, un robot unico nel suo genere, che dal centro di ricerca di cui è direttrice porta nel mondo. Ci ha messo tutta la vita per realizzarlo, è stata seria, ma tutto è cominciato da un gioco.

 

Realizzare queste interviste mi costa impegno e tante ore di lavoro, se vuoi sostenere Appassionate, puoi trovare l’ebook da regalare a te o ad un tuo amico. Oppure contattami per proporre uno speech o un workshop. Se vuoi essere informato sulle nuove interviste puoi iscriverti alla newsletteroppure leggere i miei post quotidiani sulla pagina facebook.

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