Dolore e Gloria l’ultimo film di Almodovar (visto ieri), è essenzialmente la sintesi della sua vita, nello specifico degli episodi che hanno fatto la sua vita: relazione con la madre, seminario, il cinema, il primo amore e il primo grande dolore. Aveva già trattato tutti i temi in svariati film ma in questo li rimette in ordine, mettendoli in prospettiva del dolore che hanno generato quando accadevano, fino al giorno in cui decide di liberarsene. Già perché il dolore è utile finché ci racconta qualcosa di noi e ci obbliga a guardare nella direzione giusta, poi bisogna liberarsene. E poi, quando il dolore è sparito non si impara più niente?

Ho sentito dire più volte che gli scrittori scrivono sempre la stessa storia, ogni libro è un modo diverso di raccontare e rivivere la propria storia, per infine liberarsene. Io credo sia il destino non solo degli scrittori, ma di tutti, vivere cercando di capire cosa ci è successo, e come siamo diventati quello che siamo.

Io negli ultimi anni ho lavorato senza sosta su un unico tema (e visto che mi segui da un po’ lo sai molto bene), per sintetizzare al massimo un’unica lunga riflessione su CHI SONO; iniziata lasciando il lavoro in tv e finita trasferendomi in Francia con (finalmente) l’uomo giusto. Ecco la sintesi di dieci anni di vita, migliaia di chilometri percorsi, centinaia di pagine scritte, 720 ore di analisi. Quello che un tempo è stato tutto, si è ridotto ad un paragrafetto. 

Dopo un anno di intangibile felicità, un nuovo tema di riflessione s’impone: RELAZIONE.

Negli anni della singletudine l’ho immaginata come il luogo in cui incontrarsi e raccontarsi, e questo mi consolava della tanta fatica che stavo facendo di conoscermi. Ma poi così è stato, più di un anno a raccontargli CHI SONO, a domandargli CHI SEI? A scrutarlo con fame vorace e con stupore infantile ma infondo sempre a mostrarMI, accogliente, interessata, comprensiva, oppure fragile, o con limiti e difetti, ma in fondo sempre a raccontare di me le cose che ho scelto e accettato.

Poi arriva il giorno in cui è lui a dirti chi sei, una domenica sera d’inverno verso le sette e quaranta. Te lo dice schietto e chiaro, perché malgrado i tuoi sinceri e commoventi racconti, lui vede di te pure quello che credi di aver lasciato andare con la presunzione di essere guarita.

Ha visto la parte che detesti e che hai sempre creduto non fosse roba tua ma solo una reazione al male che ti ha fatto. Ha visto il tuo peccato originale.

Ti dice il dolore che prova, e tu sai che non può essere che lei, lo conosci bene il male che fa. Allora succede il miracolo, la prima volta nella vita non scappi, non ti opponi, non dissimuli, lo guardi mentre lui con gli occhi e la voce tremante nomina la tua profonda vergogna, dà uno nome al dolore che tu hai trasformato in cattiveria. In quello stesso istante senti sfiorarti la paura di essere rigettata, invece lui ti dice solo “La prossima volta scegli me. Non diventare il mostro che vive nella caverna, fidati di me perché io so chi sei. Scegli me, proteggi me.” E finalmente in un instante sei liberata, intera, sei finalmente tutta.

Non serve sempre il dolore per conoscerci, a volte serve prendere la mano alla persona che abbiamo davanti e fidarci di lei. Relazione (dal latino relatus est: riportare, riferire) nella relazione l’altro ci porta la parte di noi che non vediamo, non accettiamo. Nella relazione con gli altri l’essere umano trova la sua interezza.  

 

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Filomena Pucci