“Ricordo ancora il primo appuntamento, era un venerdì pomeriggio del 2000, dieci minuti prima dell’evento tutte le sedie erano vuote. Abbiamo cominciato a chiamare i nostri parenti e amici pregandoli di venire a fare il pubblico.” In un paese di cinquantamila abitanti è forse possibile riempire l’evento di presentazione di un libro con i propri amici, invece non è per niente facile riuscire a fare arrivare centotrentamila visitatori in cinque giorni. Questi sono i numeri del 2014 (dati Bocconi) di PordenoneLegge, che con i 336 autori, 500 ospiti, e 250 eventi fanno dell’appuntamento friulano un festival di enorme successo. Da diciassette anni a seguirne l’organizzazione è Michela Zin, che con il suo viso dolce e rassicurante, e il suo ottimismo con i piedi per terra ha trasformato un piccolissimo evento di paese, in un grande festival internazionale.

“Abbiamo cominciato per volontà della Camera di Commercio di Pordenone. A quei tempi la città era tristemente nota per i fatti di Unabomber e per la base americana, allo stesso tempo eravamo sconosciuti, e ci conoscevano come quelli a venti chilometri da Venezia. I nostri piccoli imprenditori, gli operatori turistici ma anche gli abitanti avevano bisogno di una città più interessante da raccontare e  da vivere, così abbiamo puntato tutto sulla cultura.”

Pordenonelegge oggi è un festival di letteratura, in cui gli autori anche quelli famosi, chiedono di ritornare, e dove la cultura si è trasformata in una fonte di guadagno concreta. Da uno studio sull’edizione del 2014 è risultato che per un euro investito a Pordenone in quei giorni se ne producono 7,8.

Oggi ho scelto di scrivere per Appassionate la storia di Michela perché vi voglio raccontare come il punto chiave del successo del festival, accanto a programmi ogni anno più interessanti, è la gentilezza e la cura con cui sono trattati tutti, da chi ci lavora a chi è ospite, dagli spettatori ai sostenitori e di come la direttrice abbia fatto di questa sua attitudine personale il fiore all’occhiello del festival.

“Fin dall’inizio abbiamo puntato tutto sulla cura, a quei tempi c’era già il festival di letteratura di Mantova e noi non potevamo reggere il confronto se non puntando per esempio, sulla gentilezza con cui accoglievamo tutti. E’ un dettaglio fondamentale che ci ha permesso di crescere e di accreditarci con gli autori e le case editrici. Ben presto siamo diventati il festival in cui si sta bene.”

Già, perché quando riesci ad organizzare 310 eventi in cinque giorni, senza bucare un appuntamento, senza che nessuno si lamenti, vuol dire che la cura è la parola d’ordine a tutti i livelli e allora diventi un interlocutore interessante anche per chi vuole investire denaro. “Fin dall’inizio ho lavorato a tessere relazioni, cedendo spesso e imponendomi quando è servito.

Negli anni abbiamo fatto tanti errori, ma non abbiamo mai sbagliato veramente; anche le idee che non hanno funzionato, non sono state buttate via ma riviste e modificate affinché esprimessero il loro potenziale. Perché è solo facendo che si scopre cosa si è capaci di fare.”

In diciassette anni il festival è diventato enorme, tanto da occupare per cinque giorni piazze, teatri, auditorium e scuole. E con gli spazi è cresciuta pure la consapevolezza di essere i creatori di qualcosa di unico. Insieme ad una illuminata gestione delle risorse, ogni evento è sostenuto e finanziato da un singolo brand, a Pordenone si respira la cura e l’attenzione in tutti i momenti. Durante i giorni del festival ci sono tanti ragazzi e ragazze con indosso magliette speciale; hanno le ali. Sono gli angeli, i volontari che aiutano autori e spettatori a risolvere qualsiasi cosa. Anche questa è un’idea che nasce dall’approccio di cura alla vita, è talmente sentita la cosa che Michela organizza ogni anno dei corsi di formazione per preparare al meglio gli angeli ad accogliere gli ospiti. “Mi sento come tata Lucia, perché alla fine non gli insegniamo niente di segreto, semplicemente i fondamenti della buona educazione: a non masticare la gomma quando si parla con un ospite, a rispondere sempre grazie e prego, e a non rispondere mai BOH! Insomma basta poco per essere un angelo no? Oggi dopo 17 edizioni, indossare quella maglietta è un punto d’orgoglio, non è in vendita, anche se tanti visitatori e autori la vorrebbero.

Essere un angelo è una volontà, bisogna proprio volerlo, si fa addirittura un colloquio iniziale, e dal secondo anno si ha diritto ad un piccolo stipendio. Gli angeli ci sono sempre, e proprio come quelli veri non si vedono ma sono da per tutto.”

Il festival nel 2014 è diventato una fondazione indipendente dalla Camera di Commercio da cui tutto è cominciato.

“Oggi siamo una piccola impresa e dobbiamo in tutto e per tutto produrre il fatturato necessario per coprire tutte le spese, dagli affitti agli stipendi; per questo ci stiamo muovendo come un’agenzia culturale, che produce cultura 365 giorni l’anno. Corsi di scrittura, di traduzione letteraria, ma anche cultura e territori. Dobbiamo lavorare con quello che abbiamo, ed esaltare quello che sappiamo fare, sempre con il sorriso e grazia.”

Finisco la mia chiacchierata con Michela dopo quasi due d’ore, e potrei continuare a raccontare altri dettagli del successo del festival ma per rendersi conto del potere della cura applicato ad un progetto economico non vi resta che andare a fare un salto a Pordenone il prossimo settembre. Michela sarà lì ad aspettarvi e seppure al telefono con un premio nobel della letteratura che dovesse aver perso l’aereo, per voi avrà un sorriso sgargiante e gentile.