Dopo quasi dieci anni lascio la casa in cui ho abitato a Roma, la prima casa tutta mia da sola, con contratto ed utenze intestate. Due stanze, cucina, balcone con rampicanti e tavolino. Vista su piazza Vittorio e  San Giovanni. Lascio la casa che mi ha protetta e nascosta negli ultimi anni. Lascio tutte le idee di me con cui sono arrivata, e che mi portavo dietro fin dall’infanzia. E pure tutte le idee su quella che doveva essere la mia vita. Lascio tutte le illusioni, le fantasticherie e le proiezioni. Lascio l’attesa instancabile della felicità che sarebbe venuta e che, pure quando è venuta, è sempre poi sfumata via, perchè così fa la felicità. Lascio la paura, la rabbia, la tristezza e le lacrime. Lascio l’abusata consolazione delle lacrime.  Lascio l’idea sbagliata di essere sbagliata. Lascio gli amori che non ho capito e che non mi hanno capito. Lascio l’attesa che le cose si mettano a posto facendo finta di niente, lascio l’invidia, il rancore e la paura per il futuro. Lascio tutti gli scusa che ho detto, sperando di essere perdonata, lascio tutti perdonati. Lascio la solitudine, amica preziosa di scoperte in terre lontane, tiranna e torturatrice. Lascio le mie piante e l’esperienza che un germoglio nasce, anche dopo due anni, nasce quando sarà il suo momento. Lascio la mia bambina triste e solitaria, lascio il suo mondo piccolo e timoroso, dove le cose potevano accadere solo se tutto fosse stato perfetto. Lascio la scusa della perfezione che mi ha imprigionata nel giudizio.

Domenica alle sette del mattino i traslocatori verranno a caricare gli scatoloni e gli armadi smontati. Porto con me sole le cose belle, le cose mie, quelle che ho costruito con le mie mani e il mio sudore. Porto con me l’esperienza dolorosa ed esaltante di essermi scolpita con le mie stesse forze. Porto con me la consapevolezza di non essere più un’idea ma una storia in divenire, una storia da scrivere e da lasciare accadere.  Porto con me la scoperta dell’amore, che non so dire ancora, ma finalmente non manca più. Porto come la forza preziosa della responsabilità di me, e la liberazione da ogni catena e cordone ombellicale.  Porto con me solo quello che mi piace, quello che so che avere accanto mi darà energia, mi farà sorridere. Lascio i bei vestiti, porto i miei vestiti. Porto la forza di sorridere andando via, porto il coraggio di dire resta a chi voglio accanto. Porto la mia storia finalmente.

In queste ultime settimane in cui ho organizzato il trasloco e impacchettato le mie cose, mi sono stupita della rapidità con cui sceglievo cosa lasciare e cosa buttare, regalare o vendere. Sono stata rapida, perchè lo sapevo già. In questi dieci anni avevo collezionato nella mia mente una minuziosa lista di ciò che non volevo con me. Libri, oggetti, pensieri, vestiti, persone, situazioni. Una lista che ho passato in rassegna migliaia di volte, e che ha succhiato tanto del mio tempo. Necessario si potrebbe dire, tanto dico io. Ecco, ho rinviato a togliere quel libro dalla mia libreria,  con lo stesso fatalismo con cui ho aspettato la felicità. Come una rivelazione, come se quel libro che conoscendomi, mai e poi mai avrei voluto leggere, un giorno, senza una ragione apparente, avrebbe potuto interessarmi. Così ho aspettato la felicità come se fosse qualcosa che non sapevo che faccia avesse. Oggi so che la felicità non si aspetta e che non arriva per caso, e che non c’è niente di più felice che scrivere queste parole sulla mia scrivania, circondata ormai solo da scatoloni, e sapere che io sono io. E questa è la felicità.